Prelievi e versamenti in contanti….

In Italia per l’utilizzo del denaro contante ci sono restrizioni e limiti, questo per contrastare i fenomeni di evasione e prevenire il riciclaggio. Ma il limite all’utilizzo del contante vuol dire anche limitare prelievi e versamenti.

I limiti per i pagamenti in contanti

Dallo scorso 4 luglio 2017 ci sono nuove sanzioni economiche per chi paga in contanti somme pari o superiori ai 3.000 euro: non più tra l’1% e il 40% dell’importo trasferito, bensì da 3.000 a 50.000 euro.

Fino a 2.999,99 euro è possibile spostare soldi cash da un soggetto a un altro senza forme né vincoli. Anche ai fini della validità di una eventuale donazione, in quanto l’importo può considerarsi di “modico valore” non è necessario il notaio.

Per importi da 3.000 euro in su è necessario procedere con bonifico bancario o postale, assegno non trasferibile, carta di credito o bancomat (cosiddetta carta di debito). Se l’importo poi viene trasferito a titolo di donazione, per la validità dell’atto (da un punto di vista prettamente civilistico e non certo tributario) è necessario il notaio salvo si proceda con una “donazione indiretta”.

Quando il prezzo di un bene o di un servizio è superiore a 3.000 euro, è possibile pagare in contanti frazionando il pagamento a rate, purché ciascuna di esse non sia superiore a 3.000 euro. Affinché, tuttavia, ciò sia possibile, è necessario che la dilazione a rate non appaia un artificioso mezzo per violare la normativa, ma corrisponda a prassi commerciali.

Al contrario, frazionare un pagamento in rate versate in contanti (anche se inferiori a 3.000 euro) è vietato se ciò è un modo per superare il limite all’uso dei contanti imposto dalla legge, valutazione questa che viene fatta caso per caso dal giudice oppure quando i pagamenti a rate sono realizzati in momenti diversi “ma in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni”.

Secondo il Ministero, per poter pagare in contanti e a rate un importo complessivamente superiore a 3.000 euro è necessario che vi sia un pregresso accordo scritto tra le parti e che ciò corrisponda a una prassi commerciale.

In generale il divieto dei pagamenti in contanti a partire da 3.000 euro non riguarda i rapporti con la banca e, quindi, i prelievi e versamenti sul conto.

I rischi

La legge consente al fisco di effettuare indagini bancarie sui conti correnti e, su tali dati, basare le proprie rettifiche del reddito e gli accertamenti fiscali. Da un lato l’amministrazione finanziaria può accedere alla cosiddetta “Anagrafe dei rapporti finanziari”, un database ove è riportata ogni informazione sui conti dei contribuenti; dall’altro lato è autorizzata a richiedere ulteriori notizie all’istituto di credito.

Il contribuente deve essere pronto a spiegare da dove provengono le somme versate sul conto se non sono state “denunciate” nell’annuale dichiarazione dei redditi, soprattutto se superiori alle sue disponibilità economiche. La mancata giustificazione della provenienza del denaro versato in banca può implicare un accertamento fiscale.

Per quanto riguarda gli imprenditori, dal 3 dicembre 2016 sono considerati ricavi – e quindi devono essere tassati – i prelievi “non giustificati” (senza l’indicazione del nome del beneficiario in contabilità o senza la sua comunicazione alle Entrate in caso di controllo) per importi superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5.000 euro mensili. Il rischio è quello di un accertamento fiscale e il pagamento di ulteriori imposte sui redditi. Questo solo se, in caso di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, il correntista non indica il soggetto beneficiario del prelievo, sempre che quest’ultimo non risulti dalle scritture contabili. Tale regola si applica soltanto ai titolari di reddito d’impresa e non ai professionisti.

Per tutti gli altri contribuenti i prelievi dal conto corrente sono liberi. Il dipendente della banca può tuttavia chiedere spiegazioni su come verranno usate le somme, tali informazioni servono solo per notiziare la direzione della banca in caso di sospetto di uso per fini di riciclaggio di denaro sporco; la direzione a sua volta, ritenendo i sospetti fondati, dovrà dare comunicazione all’Uif (Ufficio Informazioni Finanziarie) il quale a sua volta valuterà l’eventuale segnalazione alla Procura. La somma prelevata dal conto superiore a 3.000 euro però non può essere impiegata per pagare un unico acquisto di beni o servizi perché, in tal caso, si ricade nel divieto di trasferimento del denaro tra soggetti diversi sopra la soglia limite.

Per i professionisti un tempo valevano le stesse condizioni in essere per gli imprenditori, ma dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima tale equiparazione le cose sono cambiate. Oggi, dunque, i professionisti, come i lavoratori dipendenti, sono liberi di effettuare prelievi senza dover tenere traccia del beneficiario delle somme.

fonte: idealista

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Ripartizione spese proprietario inquilino: cosa dice la legge?

Manutenzione ordinaria a carico dell’affittuario e manutenzione straordinaria a carico del padrone di casa: ma quali spese rientrano nell’una e nell’altra categoria?

Siamo alle solite: tra te e il padrone di casa si è verificata l’ennesima disputa su chi debba riparare i guasti e gli interventi di manutenzione all’interno dell’appartamento in affitto. Il contratto non dice nulla a riguardo, ma è certo che gran parte degli accessori presenti nell’immobile erano già vecchi e logorati al momento della presa di possesso dell’immobile: facile è stato rompere le corde delle serrande, la molla del divano, la presa elettrica della cucina, il meccanismo di apertura e chiusura delle tende. In proposito hai letto sul codice civile che l’ordinaria manutenzione spetta all’inquilino mentre quella straordinaria al locatore. Tuttavia non hai chiara la distinzione e non sai stabilire quali spese rientrino nella prima categoria e quali nella seconda. Ti sembra assurdo, ad esempio, dover sostituire lo scaldabagno, benché guastatosi a causa della normale usura, e lasciare l’apparecchio a beneficio di chi, a contratto scaduto, ti sostituirà nella locazione. Stesso discorso per le spese di riparazione della televisione e degli altri elettrodomestici. Nel calderone poi ci sono gli esborsi dovuti al condominio come, ad esempio, i costi del giardinaggio, l’adeguamento dell’ascensore e il compenso all’amministratore. Così, per evitare di finire in causa, ti chiedi qual è la giusta ripartizione delle spese tra proprietario e inquilino: cosa dice la legge in proposito? Di tanto parleremo in questo breve articolo, anche se un po lungo consiglio la lettura.

La prima cosa che devi fare per stabilire a carico di chi sono le spese di manutenzione dell’appartamento in affitto è leggere attentamente il contratto di locazione. Il codice civile lascia infatti libere le parti di definire, tra di loro e secondo il comune accordo, cosa compete all’una e cosa all’altra. La legge interviene solo laddove affittuario e padrone di casa non abbiano stabilito nulla o siano stati poco chiari, sicché è necessario integrare le loro volontà con le norme generali.

Immaginiamo dunque che nel contratto di affitto ci sia solo un generico e incomprensibile riferimento alle norme di legge che necessita pertanto di una attuazione concreta e pratica. Come si ripartiscono le spese tra proprietario e inquilino? Ecco cosa dice il codice.

La regola generale vuole che i costi per la manutenzione straordinaria spettino al locatore, ossia a chi affitta, mentre la manutenzione ordinaria spetti al conduttore, ossia all’inquilino. La manutenzione ordinaria riguarda tutti gli interventi e le riparazioni di basso valore resi necessari dal normale logorio, quello che deriva dall’uso quotidiano dell’immobile. Quindi, se anche lo scaldabagno o la televisione si sono rotti non per una causa specifica ma solo per “vecchiaia”, la loro sostituzione spetta al padrone di casa: l’acquisto di un nuovo impianto è infatti una spesa consistente che rientra nella straordinaria amministrazione. Stesso discorso per quanto riguarda la rottura di una tubatura o dell’impianto elettrico. Invece, il guasto a un rubinetto e la sostituzione della guarnizione o del tubo della doccia che perde spettano all’affittuario.

Le norme di riferimento della materia sono tre. La prima [1] stabilisce che il locatore deve consegnare al conduttore un immobile in buono stato ed impegnarsi, nello stesso tempo, a mantenerlo efficiente durante tutto il periodo di validità del contratto di affitto. Allo stesso tempo, spetta sempre al padrone di casa [2] eseguire tutte le «riparazioni necessarie», eccettuate solo quelle di piccola manutenzione che sono invece a carico del conduttore. Per «riparazioni necessarie» si intendono quelle indispensabili per consentire all’inquilino di utilizzare e godere appieno dell’immobile. Per esempio, la manutenzione delle pareti, degli impianti elettrico, idrico e di riscaldamento, le spese per l’adeguamento normativo degli impianti stessi. Così, se nell’appartamento si è creata una rottura delle tubazioni del bagno che ha determinato un’infiltrazione nella casa del vicino che abita al piano di sotto, tutte le spese e gli inconvenienti dalla riparazione sono a carico del locatore. La spesa rientra infatti tra gli interventi «straordinari» e «necessari» che il codice pone a carico del proprietario. Viceversa, se le tubature si rompono per un comportamento negligente o un’azione maldestra del conduttore, è dovere dell’inquilino procedere alla riparazione (ma spetta al locatore dimostrare la colpa di quest’ultimo).

L’ultima norma del codice civile [3] definisce invece quali sono le spese che spettano all’inquilino, ossia quello di piccola manutenzione: sono quelle che derivano da deterioramenti prodotti dall’uso, e non quelle dipendenti da vecchiaia (ad esempio un divano che, a furia dell’uso, si sia strappato) o da caso fortuito (ad esempio un fulmine che abbia mandato in corto circuito l’impianto elettrico o la caldaia).

Alla luce di ciò è facile comprendere anche da soli come funziona la ripartizione delle spese tra proprietario e affittuario: ad esempio la sostituzione delle lampadine fulminatesi spetta all’inquilino, così come a quest’ultimo compete tinteggiare le pareti qualora vengano sporcate dal suo stesso utilizzo (e non invece se annerite per via dello smog e dello sporco che proviene dalla strada), riparare il rubinetto che perde, far oliare la porta di casa che non chiude più bene, ecc.

Se l’appartamento è arredato, gli eventuali piccoli guasti degli elettrodomesticispettano sempre all’affittuario: si pensi alle incrostazioni di calcare nella lavastoviglie, la sostituzione di un cestello della lavatrice, la manutenzione ordinaria della caldaia e l’aggiornamento del libretto, ecc.

Del resto, obbligo dell’inquilino [4] è restituire l’appartamento nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto.

Che succede se l’inquilino anticipa la spesa per conto del padrone di casa, presentandogli solo successivamente il conto, senza cioè averlo prima consultato? La legge [5] stabilisce che quando l’appartamento necessita di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne prima avviso al locatore. Se invece effettua la riparazione senza prima consultarsi con il proprietario dell’appartamento quest’ultimo potrebbe negargli il rimborso delle spese. Tuttavia ciò non vale se si tratta di riparazioni urgenti: in tal caso infatti il conduttore può sostenere le spese anche senza autorizzazione e dopo chiedere il rimborso, ma deve contemporaneamente dare avviso al locatore. Si pensi ad esempio al rimborso della fattura dell’idraulico chiamato per riparare un tubo del lavandino che perde. C’è una sola eccezione a questa regola: se il padrone di casa dimostra che, se preventivamente avvertito, avrebbe chiamato un tecnico di propria fiducia più economico, e quindi per la stessa riparazione avrebbe speso meno, la cifra da restituire all’inquilino potrebbe essere inferiore. La riparazione della televisione non è considerata intervento urgente.

Per tagliare la testa al toro e definire quali spese sono di natura ordinaria e quali straordinaria spesso vengono allegate (o richiamate) nel contratto di locazione delle apposite tabelle che indicano chi tra locatore e conduttore debba accollarsi la spesa. Queste sono vincolanti solo nei contratti a canone concordato, mentre in quelle a canone libero (di durata 4 anni + altri 4 di rinnovo automatico) le parti – come detto in apertura – possono predisporre una loro specifica elencazione.

Le regole che abbiamo appena indicato per quanto riguarda la manutenzione dell’immobile si applicano anche per quanto attiene alla ripartizione delle spese condominiali che, di norma, vengono anticipate dal locatore e poi a quest’ultimo rimborsate dall’inquilino. La regola è che tutte le spese relative all’uso della cosa comune sono a carico dell’inquilino (es. le spese per il servizio di portineria, la pulizia delle scale, la riparazione del guasto all’ascensore) mentre quelle di riparazione straordinaria sono del padrone dell’immobile (ad esempio ristrutturazione, pulitura facciata, coibentazione lastrico solare, installazione di un montacarichi, abbattimento delle barriere architettoniche, installazione di termovalvole e contabilizzatori, ecc.).

Ad esempio l’installazione di un impianto di videosorveglianza è spesa straordinaria che compete al locatore, mentre i costi per la manutenzione ordinaria degli impianti di videocitofono e cancelli. Le spese ordinarie di giardinaggio sono a carico del conduttore mentre quelle straordinarie del locatore (per es. l’abbattimento di un albero colpito da un fulmine o inclinato dal vento o dalla neve).

fonte: laleggepertutti

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Sanzioni per chi non registra contratto di locazione

Per chi non registra un contratto di locazione e di affitto, vi è l’applicazione di una sanzione amministrativa, sono altresì violazioni soggette a sanzione, anche il parziale occultamento del corrispettivo e l’omesso o tardivo versamento dell’imposta di registro su annualità successive.

Sanzioni per le violazioni sui contratti di locazione:

  • Omessa registrazione del contratto: dal 120% al 240% dell’imposta dovuta;
  • Parziale occultamento del canone: dal 200% al 400% della maggiore imposta dovuta;
  • Tardivo versamento dell’imposta: 30% dell’imposta versata in ritardo.

Omessa ritardata registrazione locazione: ravvedimento operoso e sanzioni

Mediante il ricorso al ravvedimento operoso, il contribuente, regolarizza la sua posizione con il fisco per la tardiva registrazione dei contratti di locazione sia il tardivo pagamento dell’imposta di registro dovuta a seguito di proroga, e sia la risoluzione e cessione degli stessi.

La violazione relativa all’omissione della richiesta di registrazione può essere regolarizzata tramite ravvedimento operoso contratti locazione nei tempi e nella misura pari a:

  • entro 90 giorni dal termine di scadenza previsto, a condizione che si paghi l’imposta dovuta, gli interessi di mora e la sanzione ridotta – pari al 12% dell’imposta dovuta (1/10 del 120%) – e che, entro lo stesso termine, l’interessato presenti l’atto per la registrazione.
  • entro un 1 dal termine di scadenza previsto, purché si versi l’imposta dovuta, gli interessi di mora e la sanzione ridotta – pari al 15% dell’imposta dovuta (1/8 del 120%) – e che, entro lo stesso termine, l’interessato presenti l’atto per la registrazione.

Per regolarizzare la mancata effettuazione, alla scadenza prevista, del pagamento d’imposta dovuta, per esempio, per i versamenti successivi alla prima annualità, per la proroga, la cessione o la risoluzione di un contratto di locazione, occorre versare, oltre all’imposta non pagata e agli interessi di mora:

  • una sanzione dell’1,0% per ogni giorno di ritardo (1/15 del 15%), se il versamento è effettuato entro quattordici giorni dalla scadenza 
  • una sanzione del 1,5% dell’imposta dovuta (1/10 del 15%), se il pagamento è effettuato dal 15° giorno e comunque entro 30 giorni dalla scadenza
  • una sanzione dell’1,67% dell’imposta dovuta (1/9 del 15%), se il versamento è effettuato entro 90 giorni .

fonte: guida fisco

 

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